"Il patriottismo è l'ultimo rifugio dei mascalzoni"
Samuel Johnson


martedì 17 giugno 2014

HOMO HOMINI LUPUS

Nella serata di lunedì è stato dato un volto e un nome a colui che avrebbe commesso nel novembre 2010 l'efferato omicidio della tredicenne Yara Gambirasio, trattasi del muratore quarantaquattrenne Bossetti Massimo Giuseppe. E subito i media si sono avventati su quest'uomo, al momento in stato di fermo, e sulla sua famiglia, scavando nel passato suo e della madre, alla ricerca di chissà quali segreti e chissà quali indizi, magari premonitori del drammatico delitto poi perpetrato.
Ma tutto il can-can mediatico è stato attivato da un twit del ministro degli Interni, Angelino Alfano, il quale, in barba al riserbo con il quale la Procura di Bergamo aveva condotto le indagini negli ultimi mesi e alla prudenza con la quale avrebbe (giustamente) voluto gestire il fermo dell'indiziato, ha comunicato l'arresto del presunto omicida. E da qui si è scatenata la bulimia mediatica della caccia prima all’identità del "mostro", poi della sua famiglia (moglie e tre figli), nonchè della madre, rea di aver dato alla luce un futuro omicida frutto di una relazione forse extraconiugale.
Tra le tante considerazioni amare che la giornata di lunedì mi suggerisce, una riguarda proprio il Ministro Alfano, purtroppo in un Paese oltre l'orlo del tracollo come l'Italia lui è tra i più degni rappresentanti della mediocrità e dell'incapacità italica.
Oramai, puntuale come l'arrivo della bella stagione, arrivano anche le gaffe e le certificazioni di inadeguatezza politica di quest'individuo. Dal caso del rapimento di Alma Shalabayeva e di sua figlia a quello della cattura del presunto omicida di Yara, Alfano si erge a emblema dell'incapace di successo, del miracolato dalla sua stessa inadeguatezza, del dannoso a sua insaputa. Ma non voglio dilungarmi oltre per non dedicare ulteriore attenzione a questo improbabile uomo politico divenuto senza meriti una ancor più improbabile Ministro dell'Interno.
L'altra considerazione è che, qualsiasi evoluzione e dinamica avrà questa vicenda, non ci sarà nessun lieto fine. Arrivati a questo punto della vicenda, che Bossetti sia o meno l'omicida di Yara, rimarrà sempre una ferita non rimarginabile in coloro che direttamente o indirettamente sono coinvolti.
Se non fosse colpevole, nessuno potrà comunque ridare Yara ai propri genitori e ai propri fratelli, e l'angoscia sarebbe vita natural durante. Allo stesso tempo se Bossetti fosse colpevole la propria famiglia sarebbe rovinata per sempre dalla vicenda, la madre, che avrebbe avuto un figlio futuro omicida a seguito di una relazione extraconiugale, il padre, che ha scoperto in questa drammatica vicenda di non essere il padre biologico di suo figlio, la moglie e i tre figli minorenni che si troverebbero a convivere per il resto della loro vita con il marchio d'infamia di essere stati moglie e figli di un efferato omicida.
E' una tragedia greca, non c'è un barlume di luce, solo tenebre, solo dolore.
L'ultima considerazione è quasi sociologica, e si lega non solo all'arresto del presunto (io mi ostino, per prudenza visti i precedenti, a chiamarlo così) omicida di Yara, ma anche ai numerosi efferati delitti, quasi tutti nella cerchia familiare, che sono assurti agli onori della cronaca nera negli ultimi anni.
Mi chiedo, come sia possibile che in una società dove regna ancora un relativo e diffuso benessere, dove il livello di scolarizzazione e di cultura è più alto rispetto al passato, dove le realtà familiari svolgono le proprie vite in case e ambiti di relativo benessere materiale, si moltiplichino episodi di efferata violenza?
Io credo che ciò accada proprio per i motivi con i quali interrogavo poco sopra.
Nella nostra società si sono persi tutti i codici d'onore che tenevano assieme una comunità, che non sono le somme dei singoli beni materiali individuali, bensì i codici d'onore che un tempo venivano rispettati anche se non vi era una cultura e una scolarizzazione diffusa, ed erano la lealtà, la parola data, l'onore, il rispetto.
Di più, oggi gli individui sono ingabbiati in una società fatta per robot, non per persone, dove il vizio viene bandito come un peccato, di  più, come un reato; invece il vizio è da sempre una utile valvola di sfogo alle frustrazioni, alle difficoltà e alle amarezze della vita quotidiana, lavorativa e familiare. Vizi che negli anni del dopoguerra avevano aiutato le persone a sfogare le difficoltà, quali il fumo, il vino e persino i bordelli, erano compagni insostituibili e necessari ad abbassare il grado di aggressività sociale in periodi nei quali fame, fatica e patimenti erano sicuramente più presenti di oggi.
Tuttavia ora si sta trasformando le persone in macchine, robot, in qualcosa che non sono mai stati, c'è una tensione sociale, favorita dai media, volta alla perfezione, il genitore perfetto e sempre presente in famiglia, che porta i figli a scuola e li va riprendere, a catechismo e li va a riprendere, alle innumerevoli lezioni di sport, danza, musica, recitazione e chissà cos'altro e li riporta a casa, agli incontri con i catechisti e i professori, in parrocchia e nelle associazioni più disparate, insomma una continua tensione verso la perfezione che fa lievitare sotterranei sentimenti di rabbia che sedimentandosi nel tempo non possono che sfociare in un gesto, anche uno solo, inconsulto, ma fatale per la vita del carnefice e, naturalmente, della vittima.
Come un torrente i cui argini vengono continuamente ristretti per far spazio al cemento, prima o poi si vendica riversandosi fuori dalle anguste e artificiose mura, così la nostra società comprime sempre più la personalità degli individui, avvicina il vizio al peccato, e questo al reato. Bere, fumare, andare a donne, non sono tollerabili nella società della perfezione e del perbenismo, ed ecco che la natura dell'uomo, che è più simile a quella di un lupo (homo homini lupus) che a quella di un angelo asessuato o di un freddo robot, prima o poi prende il sopravvento, e quando lo fa, avviene in modo violento, tale da travolgere vite umane e sconvolgere le coscienze di intere comunità.
Ma non è tutto, chissà perchè ogniqualvolta si verifica un delitto efferato i media riferendosi all'omicida parlano di "orco", "mostro", "rifiuto umano" e via di questo grado. Non sono d'accordo, gli autori di questi omicidi sono da classificare per quello che hanno commesso, ossia degli assassini.
La nostra società, per fortuna, da diverse generazioni non vive i drammi della guerra, e il nostro rapporto con la violenza e il dolore è da ricondurre o alla visione di film e videogiochi a ciò funzionali, oppure alla perdita di una persona cara per malattia o fatto traumatico, come l’incidente d’auto. Manca nella nostra esperienza collettiva un dramma unificante come quello della guerra che porta con sé quello della morte, del dolore, e del male! Se ne è persa la memoria, se ne è persa l’esperienza, non sappiamo più catalogare in maniera lucida e obiettiva un evento che sconvolge l’esperienza collettiva di più individui, di una comunità, ed ecco che si rispolverano figure inesistenti quali mostri e orchi. Ma non è così. Apriamo gli occhi. Coloro che si sono macchiati di efferati delitti, perlopiù nella cerchia familiare, sono persone, in carne e ossa! Piaccia o meno sentirselo dire, sono persone, non orchi o mostri!
Ed è proprio questo al quale non vogliamo credere, che il male non è patrimonio genetico di pazzi, squilibrati, orchi e mostri, ma dell’individuo, di ogni singolo individuo, perché come ben sapevano i latini “homo homini lupus”, l’uomo è lupo per l’uomo. Non vogliamo accettare che il male, o meglio, la capacità di produrre il male, sia insita nella natura umana, e che non c’è scampo alla nostra natura.
Pensiamo di vivere nel migliore dei mondi possibile perché abbiamo “cose”, negli armadi, nel frigorifero, in salotto, in garage, possiamo permetterci tante e sole “cose”, ma l’animo umano non si nutre di “averi”, ma di esperienze, e quando ci lasciamo travolgere nella spirale del vortice di un mondo più virtuale che reale, fatto di continui, ripetuti e noiosissimi doveri, di cura e culto dell’immagine, estetica e sociale, sempre tesi alla perfezione senza tuttavia poterla mai raggiungere, ecco che qualcosa in noi si rompe, e il lupo che alberga in ogni individuo prende il sopravvento sull’artificioso perbenismo di questa società a misura di robot, che odia l’individuo.
Riposa in pace piccola Yara.


Locatelli Roberto

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