Da diversi giorni tiene
banco nella politica italiana il cosiddetto “caso Cancellieri”, ossia la
telefonata che il Ministro della Giustizia ha intrattenuto con un’ amica di
famiglia, precisamente della famiglia Ligresti, alla quale avevano arrestato
marito e figli per gravi commissioni di reati nell’esercizio delle loro
funzioni di manager e imprenditori in Fondiaria-Sai, con successiva
scarcerazione di una delle figlie in detenzione per gravi condizioni di salute.
Il Ministro ha addotto
a sua difesa il fatto di avere avuto un comportamento umano sulla vicenda,
rivendicando l’umanità dei suoi comportamenti e il risultato di aver evitato
che una persona potesse morire in carcere per il grave stato depressivo nel
quale verteva; tuttavia mi sembra una difesa tutt’altro che impeccabile,
pertanto non esente da critiche.
Va da sé che il solo fatto che una figura
istituzionale quale un Ministro di Giustizia si intrattenga telefonicamente sì con
una amica di famiglia di vecchia data, ma legata da vincoli familiari con
persone tratte in arresto per gravi indizi di reato è quantomeno impudico. Se a
ciò si aggiunge il fatto che la famiglia in questione, i Ligresti, già nel
passato hanno dato tante soddisfazioni ai Tribunali d’Italia e che la figlia
Giulia, depressa per via della detenzione (come del resto in tutti quei rari
casi dove i ricconi finiscono meritatamente in gattabuia per le loro
malefatte), guarda caso viene pressocché subito scarcerata, dal dubbio si passa
alla certezza: è la legge del “tengo famiglia”.
Non bastasse, nella
telefonata il Ministro dichiara all’amica di “essere a disposizione”! Cosa?!
Come?! Un Ministro che dovrebbe incarnare nella sua figura e nelle sue funzioni
la legalità o quantomeno la persecuzione dei reati, il primato del diritto che
dovrebbe stare alla base di sani e condivisi valori civici e di convivenza
civile, si mette a disposizione di coloro che sono stati presi con le mani, per
così dire, nella marmellata!
E neanche un accenno al
figliolo dell’amica che, velocemente, se ne è dato a gambe levate in Svizzera
ponendosi nella condizione di “latitante”!
Questa vicenda ci
ricorda una volta di più come in Italia ciò che importa sono non il rispetto
delle leggi e men che meno un comportamento dettato dalla “buona creanza”, ciò
che conta sono i legami e le relazioni personali, amicali e familiari, tutto è
possibile se si è legati a chi conta, in un intreccio che vede esponenti
politici legati ad appartenenti al mondo della burocrazia pubblica di Stato,
piuttosto che alla finanza, piuttosto che all’imprenditoria arraffona che vive
di commesse e concessioni statali.
Tra loro si conoscono,
si riconoscono, si tollerano, si aiutano, si coprono le rispettive malefatte;
esclusi da tutto ciò ci sono i cittadini onesti, quelli che non possono
permettersi il lusso delle “conoscenze che contano” perché troppo impegnati a
ritagliarsi il tempo tra le tribolazioni quotidiane fatte di famiglia, lavoro,
bollette, salute, trasporto da e per il luogo di lavoro.
In Italia non essere un
“intrallazzone” significa vivere ai margini della società, non godere di
conoscenze altolocate, scappatoie e “gesti umanitari” caduti dall’alto, nella
migliore delle ipotesi si è dei nomi sconosciuti ai più, nella peggiore, dei
numeri da spremere nelle fatiche quotidiane per il sollazzo di lor signori.
Che un Ministro della
Giustizia dichiari di “essere a disposizione” di chi è stato tratto in arresto
è qualcosa di inconcepibile all’estero e di inaccettabile secondo la morale
comune della “buona creanza”, ma si sa, in Italia non vige tanto il fatto che
“la legge è uguale per tutti”, quanto il fatto che lor signori “tengono
famiglia”.
Locatelli Roberto
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