"Il patriottismo è l'ultimo rifugio dei mascalzoni"
Samuel Johnson


sabato 9 novembre 2013

CASO CANCELLIERI, L’EMBLEMA DELL’ITALIA DEL “TENGO FAMIGLIA"


Da diversi giorni tiene banco nella politica italiana il cosiddetto “caso Cancellieri”, ossia la telefonata che il Ministro della Giustizia ha intrattenuto con un’ amica di famiglia, precisamente della famiglia Ligresti, alla quale avevano arrestato marito e figli per gravi commissioni di reati nell’esercizio delle loro funzioni di manager e imprenditori in Fondiaria-Sai, con successiva scarcerazione di una delle figlie in detenzione per gravi condizioni di salute.

Il Ministro ha addotto a sua difesa il fatto di avere avuto un comportamento umano sulla vicenda, rivendicando l’umanità dei suoi comportamenti e il risultato di aver evitato che una persona potesse morire in carcere per il grave stato depressivo nel quale verteva; tuttavia mi sembra una difesa tutt’altro che impeccabile, pertanto non esente da critiche.

 Va da sé che il solo fatto che una figura istituzionale quale un Ministro di Giustizia si intrattenga telefonicamente sì con una amica di famiglia di vecchia data, ma legata da vincoli familiari con persone tratte in arresto per gravi indizi di reato è quantomeno impudico. Se a ciò si aggiunge il fatto che la famiglia in questione, i Ligresti, già nel passato hanno dato tante soddisfazioni ai Tribunali d’Italia e che la figlia Giulia, depressa per via della detenzione (come del resto in tutti quei rari casi dove i ricconi finiscono meritatamente in gattabuia per le loro malefatte), guarda caso viene pressocché subito scarcerata, dal dubbio si passa alla certezza: è la legge del “tengo famiglia”.

Non bastasse, nella telefonata il Ministro dichiara all’amica di “essere a disposizione”! Cosa?! Come?! Un Ministro che dovrebbe incarnare nella sua figura e nelle sue funzioni la legalità o quantomeno la persecuzione dei reati, il primato del diritto che dovrebbe stare alla base di sani e condivisi valori civici e di convivenza civile, si mette a disposizione di coloro che sono stati presi con le mani, per così dire, nella marmellata!

E neanche un accenno al figliolo dell’amica che, velocemente, se ne è dato a gambe levate in Svizzera ponendosi nella condizione di “latitante”!

Questa vicenda ci ricorda una volta di più come in Italia ciò che importa sono non il rispetto delle leggi e men che meno un comportamento dettato dalla “buona creanza”, ciò che conta sono i legami e le relazioni personali, amicali e familiari, tutto è possibile se si è legati a chi conta, in un intreccio che vede esponenti politici legati ad appartenenti al mondo della burocrazia pubblica di Stato, piuttosto che alla finanza, piuttosto che all’imprenditoria arraffona che vive di commesse e concessioni statali.

Tra loro si conoscono, si riconoscono, si tollerano, si aiutano, si coprono le rispettive malefatte; esclusi da tutto ciò ci sono i cittadini onesti, quelli che non possono permettersi il lusso delle “conoscenze che contano” perché troppo impegnati a ritagliarsi il tempo tra le tribolazioni quotidiane fatte di famiglia, lavoro, bollette, salute, trasporto da e per il luogo di lavoro.

In Italia non essere un “intrallazzone” significa vivere ai margini della società, non godere di conoscenze altolocate, scappatoie e “gesti umanitari” caduti dall’alto, nella migliore delle ipotesi si è dei nomi sconosciuti ai più, nella peggiore, dei numeri da spremere nelle fatiche quotidiane per il sollazzo di lor signori.

Che un Ministro della Giustizia dichiari di “essere a disposizione” di chi è stato tratto in arresto è qualcosa di inconcepibile all’estero e di inaccettabile secondo la morale comune della “buona creanza”, ma si sa, in Italia non vige tanto il fatto che “la legge è uguale per tutti”, quanto il fatto che lor signori “tengono famiglia”.

 

Locatelli Roberto

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