Nella serata di lunedì è stato dato un volto e un nome a colui che avrebbe
commesso nel novembre 2010 l'efferato omicidio della tredicenne Yara
Gambirasio, trattasi del muratore quarantaquattrenne Bossetti Massimo Giuseppe.
E subito i media si sono avventati su quest'uomo, al momento in stato di fermo,
e sulla sua famiglia, scavando nel passato suo e della madre, alla ricerca di
chissà quali segreti e chissà quali indizi, magari premonitori del drammatico
delitto poi perpetrato.
Ma tutto il can-can mediatico è stato attivato da un twit del ministro
degli Interni, Angelino Alfano, il quale, in barba al riserbo con il quale la
Procura di Bergamo aveva condotto le indagini negli ultimi mesi e alla prudenza
con la quale avrebbe (giustamente) voluto gestire il fermo dell'indiziato, ha comunicato
l'arresto del presunto omicida. E da qui si è scatenata la bulimia mediatica
della caccia prima all’identità del "mostro", poi della sua famiglia
(moglie e tre figli), nonchè della madre, rea di aver dato alla luce un futuro
omicida frutto di una relazione forse extraconiugale.
Tra le tante considerazioni amare che la giornata di lunedì mi suggerisce,
una riguarda proprio il Ministro Alfano, purtroppo in un Paese oltre l'orlo del
tracollo come l'Italia lui è tra i più degni rappresentanti della mediocrità e
dell'incapacità italica.
Oramai, puntuale come l'arrivo della bella stagione, arrivano anche le
gaffe e le certificazioni di inadeguatezza politica di quest'individuo. Dal
caso del rapimento di Alma Shalabayeva e di sua figlia a quello della cattura
del presunto omicida di Yara, Alfano si erge a emblema dell'incapace di
successo, del miracolato dalla sua stessa inadeguatezza, del dannoso a sua
insaputa. Ma non voglio dilungarmi oltre per non dedicare ulteriore attenzione
a questo improbabile uomo politico divenuto senza meriti una ancor più
improbabile Ministro dell'Interno.
L'altra considerazione è che, qualsiasi evoluzione e dinamica avrà questa
vicenda, non ci sarà nessun lieto fine. Arrivati a questo punto della vicenda,
che Bossetti sia o meno l'omicida di Yara, rimarrà sempre una ferita non
rimarginabile in coloro che direttamente o indirettamente sono coinvolti.
Se non fosse colpevole, nessuno potrà comunque ridare Yara ai propri
genitori e ai propri fratelli, e l'angoscia sarebbe vita natural durante. Allo
stesso tempo se Bossetti fosse colpevole la propria famiglia sarebbe rovinata
per sempre dalla vicenda, la madre, che avrebbe avuto un figlio futuro omicida
a seguito di una relazione extraconiugale, il padre, che ha scoperto in questa
drammatica vicenda di non essere il padre biologico di suo figlio, la moglie e
i tre figli minorenni che si troverebbero a convivere per il resto della loro
vita con il marchio d'infamia di essere stati moglie e figli di un efferato
omicida.
E' una tragedia greca, non c'è un barlume di luce, solo tenebre, solo
dolore.
L'ultima considerazione è quasi sociologica, e si lega non solo all'arresto
del presunto (io mi ostino, per prudenza visti i precedenti, a chiamarlo così)
omicida di Yara, ma anche ai numerosi efferati delitti, quasi tutti nella
cerchia familiare, che sono assurti agli onori della cronaca nera negli ultimi
anni.
Mi chiedo, come sia possibile che in una società dove regna ancora un
relativo e diffuso benessere, dove il livello di scolarizzazione e di cultura è
più alto rispetto al passato, dove le realtà familiari svolgono le proprie vite
in case e ambiti di relativo benessere materiale, si moltiplichino episodi di
efferata violenza?
Io credo che ciò accada proprio per i motivi con i quali interrogavo poco
sopra.
Nella nostra società si sono persi tutti i codici d'onore che tenevano
assieme una comunità, che non sono le somme dei singoli beni materiali
individuali, bensì i codici d'onore che un tempo venivano rispettati anche se
non vi era una cultura e una scolarizzazione diffusa, ed erano la lealtà, la
parola data, l'onore, il rispetto.
Di più, oggi gli individui sono ingabbiati in una società fatta per robot,
non per persone, dove il vizio viene bandito come un peccato, di più,
come un reato; invece il vizio è da sempre una utile valvola di sfogo alle
frustrazioni, alle difficoltà e alle amarezze della vita quotidiana, lavorativa
e familiare. Vizi che negli anni del dopoguerra avevano aiutato le persone a
sfogare le difficoltà, quali il fumo, il vino e persino i bordelli, erano
compagni insostituibili e necessari ad abbassare il grado di aggressività
sociale in periodi nei quali fame, fatica e patimenti erano sicuramente più
presenti di oggi.
Tuttavia ora si sta trasformando le persone in macchine, robot, in qualcosa
che non sono mai stati, c'è una tensione sociale, favorita dai media, volta
alla perfezione, il genitore perfetto e sempre presente in famiglia, che porta
i figli a scuola e li va riprendere, a catechismo e li va a riprendere, alle innumerevoli
lezioni di sport, danza, musica, recitazione e chissà cos'altro e li riporta a
casa, agli incontri con i catechisti e i professori, in parrocchia e nelle
associazioni più disparate, insomma una continua tensione verso la perfezione
che fa lievitare sotterranei sentimenti di rabbia che sedimentandosi nel tempo
non possono che sfociare in un gesto, anche uno solo, inconsulto, ma fatale per
la vita del carnefice e, naturalmente, della vittima.
Come un torrente i cui argini vengono continuamente ristretti per far
spazio al cemento, prima o poi si vendica riversandosi fuori dalle anguste e
artificiose mura, così la nostra società comprime sempre più la personalità
degli individui, avvicina il vizio al peccato, e questo al reato. Bere, fumare,
andare a donne, non sono tollerabili nella società della perfezione e del
perbenismo, ed ecco che la natura dell'uomo, che è più simile a quella di un
lupo (homo homini lupus) che a quella di un angelo asessuato o di un freddo
robot, prima o poi prende il sopravvento, e quando lo fa, avviene in modo
violento, tale da travolgere vite umane e sconvolgere le coscienze di intere
comunità.
Ma non è tutto, chissà perchè ogniqualvolta si verifica un delitto efferato
i media riferendosi all'omicida parlano di "orco", "mostro",
"rifiuto umano" e via di questo grado. Non sono d'accordo, gli autori
di questi omicidi sono da classificare per quello che hanno commesso, ossia
degli assassini.
La nostra società, per fortuna, da diverse generazioni non vive i drammi
della guerra, e il nostro rapporto con la violenza e il dolore è da ricondurre
o alla visione di film e videogiochi a ciò funzionali, oppure alla perdita di
una persona cara per malattia o fatto traumatico, come l’incidente d’auto.
Manca nella nostra esperienza collettiva un dramma unificante come quello della
guerra che porta con sé quello della morte, del dolore, e del male! Se ne è
persa la memoria, se ne è persa l’esperienza, non sappiamo più catalogare in
maniera lucida e obiettiva un evento che sconvolge l’esperienza collettiva di più
individui, di una comunità, ed ecco che si rispolverano figure inesistenti
quali mostri e orchi. Ma non è così. Apriamo gli occhi. Coloro che si sono
macchiati di efferati delitti, perlopiù nella cerchia familiare, sono persone,
in carne e ossa! Piaccia o meno sentirselo dire, sono persone, non orchi o
mostri!
Ed è proprio questo al quale non vogliamo credere, che il male non è
patrimonio genetico di pazzi, squilibrati, orchi e mostri, ma dell’individuo,
di ogni singolo individuo, perché come ben sapevano i latini “homo homini lupus”,
l’uomo è lupo per l’uomo. Non vogliamo accettare che il male, o meglio, la
capacità di produrre il male, sia insita nella natura umana, e che non c’è
scampo alla nostra natura.
Pensiamo di vivere nel migliore dei mondi possibile perché abbiamo “cose”,
negli armadi, nel frigorifero, in salotto, in garage, possiamo permetterci
tante e sole “cose”, ma l’animo umano non si nutre di “averi”, ma di
esperienze, e quando ci lasciamo travolgere nella spirale del vortice di un mondo
più virtuale che reale, fatto di continui, ripetuti e noiosissimi doveri, di
cura e culto dell’immagine, estetica e sociale, sempre tesi alla perfezione
senza tuttavia poterla mai raggiungere, ecco che qualcosa in noi si rompe, e il
lupo che alberga in ogni individuo prende il sopravvento sull’artificioso
perbenismo di questa società a misura di robot, che odia l’individuo.
Riposa in pace piccola Yara.
Locatelli Roberto
Nessun commento:
Posta un commento